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Retribuzione e benefit

Indennità di trasferta: esente ma solo nei limiti di legge

Corte di Cassazione, Sez. Lav.

Un’azienda ha corrisposto delle retribuzioni ai propri dipendenti a titolo di indennità di trasferta senza assoggettarli a contribuzione previdenziale. L’INPS ha tuttavia richiesto il pagamento dei contributi. L’art. 51, comma 5, L. n. 917/1986 prevede che le indennità di trasferta costituiscano reddito imponibile e siano quindi assoggettate a contribuzione se eccedenti un determinato valore giornaliero. La società ha altresì sostenuto che i lavoratori fossero dei «trasfertisti». Secondo la legge, tuttavia costoro sono lavoratori «tenuti per contratto all’espletamento dell’attività lavorativa in luoghi sempre diversi e variabili». Solo nel loro caso, l’indennità concorre a formare reddito imponibile e dunque assoggettabile a contribuzione previdenziale nella misura del 50%.
La Corte di Cassazione ha ritenuto tuttavia, che per potersi qualificare come «trasfertisti», devono sussistere contestualmente tre condizioni: la mancata indicazione della sede di lavoro; lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede continua mobilità; la corresponsione al dipendente di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura «fissa». L’ultimo requisito deve essere accertato anche in conformità degli obblighi stabiliti dalla contrattazione collettiva.
La Corte ha rinviato la causa alla Corte d’Appello per la verifica di tali requisiti.

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