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Pari opportunità - Discriminazione

I costumi e i precetti religiosi del Paese di provenienza non legittimano la violazione della legge

Corte di Cassazione, I Sez. Pen.

Un lavoratore indiano di religione «Sikh», regolarmente presente in Italia, è stato condannato alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda per il reato di porto abusivo di armi, nella specie il c.d. «kirpan», un coltello rituale della lunghezza complessiva di cm. 18,50 idoneo all’offesa per le sue caratteristiche, portato alla cintura. Il lavoratore si era rifiutato di consegnare l’arma alla Polizia che lo aveva fermato e si era difeso sostenendo che il suo possesso, al pari del turbante, costituiva l’adempimento di un precetto della sua religione.
Come rilevato dai Giudici che si sono succeduti nell’esaminare la vicenda, le usanze religiose non possono superare i precetti delle norme penali dettate a fini di sicurezza pubblica. Secondo la Suprema Corte, in particolare, in una società multietnica la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, il limite invalicabile è costituito dal rispetto della civiltà giuridica della società ospitante. L’immigrato è pertanto tenuto a conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale in cui ha liberamente scelto di inserirsi e a verificare la compatibilità dei propri comportamenti con l’ordinamento giuridico che lo disciplina. Ad avviso della Corte, la decisione di stabilirsi in una società in cui i valori di riferimento sono diversi da quelli di provenienza ne impone il rispetto e non consente che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante.

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