Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Un lavoratore dipendente rivolgeva frasi omofobe, sconvenienti ed offensive ad una collega in presenza di altre persone. La società datrice lo licenziava, quindi, per giusta causa. Il lavoratore impugnava il licenziamento, chiedendo che ne fosse dichiarata l’illegittimità e di essere reintegrato nel posto di lavoro.
La Suprema Corte si è pronunciata sulla vicenda, precisando che costituisce «innegabile portato della evoluzione della società negli ultimi decenni» la acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che essa attiene ad una sfera intima e riservata della persona. I Giudici di legittimità hanno sottolineato che l’intrusione in tale sfera, eseguita con scherno e senza curarsi della presenza di terze persone, non può, pertanto, essere considerata una semplice questione di buona educazione ma costituisce una questione di rispetto dei principi previsti dalla Costituzione come la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo senza distinzione di sesso da salvaguardare in tutte le sue forme e applicazioni.
La Suprema Corte ha pertanto ritenuto fondata la giusta causa del licenziamento.