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Non sussiste il reato di «caporalato» se non c’è approfittamento dello stato di bisogno della vittima

Corte di Cassazione, Sez. Pen.

Un imprenditore veniva condannato per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (c.d. «caporalato»), per aver utilizzato manodopera, costituita da decine di lavoratori di provenienza straniera, allo scopo di destinarla al lavoro agricolo, approfittando del loro stato di bisogno.
Durante il processo emergeva che i braccianti vivevano in un centro di accoglienza, in pessime condizioni igienico-sanitarie, percepivano una retribuzione oraria di Euro 5,00 all’ora. Inoltre, non erano stati forniti dispositivi di protezione individuali e i braccianti non erano stati sottoposti a visita medica.
La Suprema Corte, tuttavia, ha dato regione al datore di lavoro, ritenendo che la conoscenza dello stato di bisogno del lavoratore non è di per sé indicativa di sfruttamento dello stesso. In particolare, secondo la Corte, la circostanza che i lavoratori risiedessero preso un centro di accoglienza, integra certamente una situazione di disagio personale ma non coincide di per sé con lo stato di bisogno.

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