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Mobbing

Sempre a carico del lavoratore la prova del mobbing

Corte di Cassazione, Sez. Lav.

Rimane costante l’orientamento della Suprema Corte secondo cui grava sul lavoratore l’onere di provare l’intento persecutorio del datore di lavoro. Nel caso esaminato, il dipendente lamentava di essere stato privato per oltre un decennio del ruolo di primario e isolato in un reparto fantasma. Nella prospettazione del ricorrente, lo svuotamento pressoché totale delle mansioni costituiva parte di una condotta mobbizzante che gli aveva causato un danno biologico.
Sia i giudici del merito, sia la Corte di Cassazione hanno tuttavia respinto la domanda del lavoratore poiché questi non aveva allegato e provato che i comportamenti tenuti dal datore di lavoro fossero collegati da un «programmato disegno» avente lo «scopo di mortificarne la personalità e la professionalità». Si conferma pertanto che, affinché si configuri il «mobbing», non è sufficiente che il datore di lavoro abbia posto in essere una serie di atti vessatori, per quanto reiterati e sistematici, ma è necessaria altresì la prova (a carico del lavoratore) dell’«intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi».

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