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Previdenza e contribuzione

Il mancato versamento delle ritenute contributive è reato anche se dovuto alla crisi

Corte di Cassazione, III Sez. Pen.

Il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate dal datore di lavoro costituisce reato di evasione contributiva (e non semplice «omissione») anche se il datore non si propone di evadere ma è consapevole che avrebbe dovuto versare e non provvede.
Su queste premesse, la Suprema Corte ha respinto il ricorso del presidente di una società per azioni, condannato per il reato previsto dall’art. 2, D.L. 12 settembre 1983, n. 463. Il ricorrente si era difeso, tra l’altro, evidenziando che il mancato versamento era dovuto ad una crisi di liquidità che aveva colpito l’impresa proprio nel periodo di pagamento.
La Cassazione coglie l’occasione «per sgombrare definitivamente il campo da un equivoco di fondo»: per il reato di evasione contributiva non è richiesto il fine di sottrarre all’INPS le somme dovute e «tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto». La scelta di non pagare integra di per sé il dolo; i motivi che hanno condotto a tale scelta non lo escludono. Pertanto, la semplice difficoltà ad adempiere, derivante dalle difficoltà economiche dell’impresa, non esclude il reato.
Infine, conclude la Corte, il reato non può essere escluso dalle deleghe attribuite ad altro consigliere di amministrazione poiché questi, non solo era privo della necessaria autonomia finanziaria ma non avrebbe comunque potuto attrarre su di sé una responsabilità che resta del datore di lavoro, quale soggetto del rapporto previdenziale e, dunque, onerato dall’obbligo di vigilare sull’adempimento da parte del terzo delegato.

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