Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Un dipendente svolgeva il lavoro su turni di 7 o 11 ore (mattino, pomeriggio o notturno) consecutive giornaliere; di conseguenza egli non poteva usufruire del servizio mensa aziendale, aperto solo a pranzo, perché il servizio da lui reso non poteva essere sospeso. Il lavoratore chiedeva pertanto l’erogazione dei buoni pasto per ogni turno superiore a sei ore e il risarcimento del danno per aver dovuto provvedere a proprie spese ai pasti.
La Cassazione ha confermato che il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore.
Esso è tuttavia strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono. Nel caso esaminato, il CCNL prevedeva che «il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro ed il tempo a tal fine impiegato è rilevato con i normali strumenti di controllo dell’orario e non deve essere superiore a 30 minuti». La Corte ha pertanto ritenuto il diritto del lavoratore al buono pasto Di conseguenza il diritto alla mensa – o al buono pasto – era collegato alla pausa, garantita a tutti i lavoratori al di sopra di un certo orario.
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