Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Il lavoratore subordinato non può rifiutarsi di svolgere mansioni ritenute inferiori a quelle dovute, pena il licenziamento. Nel caso esaminato, la cuoca di un istituto scolastico si era rifiutata di distribuire le colazioni dopo averle preparate, ritenendo che la distribuzione dei pasti fosse estranea alle proprie mansioni e dequalificante. Dopo alcune sanzioni disciplinari conservative, la dipendente veniva licenziata e invocava la tutela del Tribunale.
La società perdeva la lite sia in primo grado sia in appello e si rivolgeva alla Cassazione. Secondo la società, infatti, il lavoratore non può rifiutarsi di eseguire le prestazioni richieste senza l’avallo di un giudice.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso datoriale, ribadendo che il rifiuto della prestazione lavorativa da parte del lavoratore è da ritenersi giustificato solo ove proporzionato e conforme a buona fede, alla luce di una valutazione complessiva del comportamento di entrambe le parti. Il rifiuto, dunque, è legittimo solo quando la violazione risulti tanto grave da incidere in maniera irreparabile sulle esigenze vitali del lavoratore o tanto da esporlo alla responsabilità penale connessa allo svolgimento delle mansioni difformi.