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Orario di lavoro, ferie, permessi

Il lavoratore deve provare di aver subito danni derivanti dal “superlavoro”

Corte di Cassazione, Sez. Lav.

Un lavoratore agiva in giudizio nei confronti del proprio datore di lavoro, chiedendo sia il risarcimento del danno alla salute che quello professionale, per essere stato sottoposto negli anni a ritmi di lavoro insostenibili e per aver svolto, in ambiente disagiato, mansioni sia inferiori che superiori. A causa di tale situazione, il lavoratore sosteneva di aver maturato sintomi depressivi sfociati poi in un infarto. Il lavoratore chiedeva, inoltre, al Giudice adito, il diritto al pagamento del c.d. «equo indennizzo» in considerazione dell’ascrivibilità della patologia cardio-vascolare a causa di servizio.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano parzialmente il ricorso del lavoratore, riconoscendo solo il diritto all’equo indennizzo e rigettando la domanda risarcitoria.
La Suprema Corte ha, invece, dato ragione al lavoratore, precisando che in tema di azione per risarcimento, per danni cagionati da un’attività lavorativa eccedente la ragionevole tollerabilità, il lavoratore è tenuto ad allegare compiutamente lo svolgimento della prestazione secondo le predette modalità nocive e a provare il nesso causale tra il lavoro così svolto e il danno; mentre spetta al datore di lavoro, dimostrare che viceversa la prestazione si è svolta, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili per l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore. La Suprema Corte, nel caso di specie, ha accolto il ricorso del lavoratore, poiché il datore di lavoro non ha assolto tale onere probatorio.

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