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Licenziamento per giusta causa

Niente licenziamento per la condotta che il CCNL giudica «non così grave»

Corte di Cassazione, Sez. Lav.

Costituisce un mero alterco non seguito da vie di fatto e non un’insubordinazione meritevole di licenziamento in tronco, la condotta del lavoratore che all’esito d’un diverbio aveva rivolto al proprio superiore un’espressione ingiuriosa, se così prevede il contratto collettivo.
Nel caso esaminato, secondo la società non si era trattato di un semplice diverbio bensì di un’insubordinazione tale da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia e caratterizzata da una precedente recidiva nella stessa mancanza (di insubordinazione) verificatasi pochi mesi prima.
La Suprema Corte ha confermato le ragioni del lavoratore, ricordando preliminarmente che quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale e le eventuali difformi previsioni della contrattazione collettiva non vincolano il giudice di merito. Egli – anzi – ha il dovere, in primo luogo, di controllare che le pattuizioni del contratto collettivo non autorizzino il licenziamento per condotte che ai sensi dell’art. 2106 Cod. civ., sarebbero passibili di una mera sanzione conservativa. Il giudice, prosegue la Corte, non può fare l’inverso, cioè estendere il catalogo delle cause di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti. In altri termini, qualora vi sia una condotta per la quale il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa, il conseguente licenziamento risulta illegittimo anche se, a norma di legge, la condotta sanzionata avrebbe potuto integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo.

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