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Licenziamento in prova

Licenziamento in prova con patto nullo: la Cass. torna sul tema

Corte di Cassazione, Sez. Lav.

Ancora una decisione della Suprema Corte in materia di licenziamento in prova laddove il patto di prova risulti nullo.
La Corte ha ribadito il proprio orientamento secondo cui, in presenza di un patto di prova nullo, il recesso risulta soggetto all’ordinaria disciplina limitativa dei licenziamenti, con la conseguente necessità di verificare la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo idoneo a legittimare l’interruzione del rapporto. Secondo la Corte, infatti, «la libera recedibilità […] presuppone che il patto di prova sia stato validamente apposto; pertanto, ove ne difettino i requisiti di sostanza e di forma richiesti dalla legge, la nullità della clausola, che essendo parziale non si estende all’intero contratto, ne determina la conversione (in senso atecnico) in uno ordinario, con applicabilità del relativo regime di tutela in ipotesi di licenziamenti individuali illegittimi».
Il licenziamento comunicato per asserito esito negativo della prova deve dunque essere valutato alla stregua di un ordinario licenziamento, come tale soggetto alla verifica giudiziale circa la sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo. Deve quindi trovare applicazione la disciplina ordinaria sui licenziamenti, secondo il regime di tutele da individuarsi in base alla data di assunzione del lavoratore (prima o dopo l’entrata in vigore del Jobs Act) e ai requisiti dimensionali dell’azienda (art. 18 Statuto dei Lavoratori o art. 8, L. n. 604/1966).
La pronuncia, tuttavia, non prende posizione sul tema – ampiamente dibattuto e assai significativo – di quale tutela, tra quelle previste dalla legge, vada riconosciuta ai lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti.

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