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Licenziamento per giusta causa

Le offese all’amministratore delegato nella chat non consentono il licenziamento

Corte di Cassazione, Sez. Lav.

Un anonimo ha fatto pervenire alla direzione aziendale la trascrizione di una chat, avvenuta nel gruppo Facebook del sindacato, nella quale si definivano «schiavisti» i metodi dell’azienda e si indirizzavano all’amministratore delegato vere e proprie ingiurie. Ne sono seguiti il licenziamento dell’autore, RSA, e una causa, all’esito della quale la Suprema Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento.
La Corte d’Appello aveva ritenuto, da un lato, che la stampa della chat non fosse idonea ad attestarne l’esatto contenuto e la sua data; inoltre le espressioni dedicate alla «faccia» dell’amministratore e al suo intelletto dovevano valutarsi come «coloriture, ormai entrate nel linguaggio comune, tese a rafforzare il dissenso dai metodi dell’amministratore delegato».
La Cassazione, nel confermare la decisione, ha tuttavia posto l’accento sulla segretezza della chat il cui contenuto era destinato a rimanere privato tra i suoi membri e andava dunque considerato come corrispondenza, inviolabile per precetto costituzionale. L’art. 15 Cost. infatti va applicato ad ogni forma «di comunicazione, incluse quelle telefoniche, elettroniche, informatiche, tra presenti o effettuate con altri mezzi resi disponibili dallo sviluppo della tecnologia». L’illecita acquisizione della chat, dunque, ne preclude l’utilizzabilità».
La società è stata pertanto condannata al reintegro e al pagamento di un’indennità pari a 12 mensilità.

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