Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Un lavoratore abbandonava il posto di lavoro dopo avere, «con fare intimidatorio e violento», appoggiato la propria testa contro quella del proprio responsabile, spingendolo con fare minaccioso, e nell’avere, in presenza di colleghi, gettato via, con fare rabbioso, un attrezzo, rischiando di colpire gli altri lavoratori presenti nell’area.
La Corte, nel confermare la legittimità del licenziamento, riteneva il caso di «grave insubordinazione» (laddove il CCNL puniva con sanzione conservativa la «lieve insubordinazione») e giudicava irrilevante la circostanza che tale comportamento fosse la reazione al diniego della pausa richiesta.
Secondo la Corte, il comportamento in questione aveva assunto caratteristiche di sfida e disprezzo, integrante una negazione pubblica e palese del dovere di obbedienza ed una sfida aperta al potere direzionale del superiore, idonea a ledere il vincolo fiduciario e tale da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto. Con «insubordinazione», infatti, non deve intendersi il solo rifiuto del lavoratore ad adempiere alle disposizioni impartite dai superiori gerarchici ma anche qualsiasi comportamento che possa pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle stesse disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
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