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Mentre il Salario minimo tiene banco nella discussione politica di queste settimane, la Corte di Cassazione entra nel vivo della sua applicazione con la sentenza n. 27711 del 2 ottobre 2023. 

La Corte infatti stabilisce che sia il Giudice a fissare il salario minimo costituzionale, cioè quello che consenta di rendere efficaci i criteri di proporzionalità e sufficienza richiesti dall’articolo 36 della Costituzione.  

Ci siamo già occupati di questo tema:

 

La contrattazione collettiva come riferimento 

Per farlo, il Giudice deve considerare innanzitutto la retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria.  

Se ritiene che il salario stabilito dal Contratto Collettivo nazionale contrasti con i criteri costituzionali può però discostarsene e stabilire diversamente, anche se la legge vi rinvia espressamente.  

Per stabilire il salario minimo costituzionale il Giudice può far riferimento al trattamento economico fissato anche nei contratti collettivi dei settori affini o per mansioni analoghe, oltre che ad indicatori economici e statistici. 

Del salario minimo si occupa anche la Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022 «relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea termine», la quale conferma la validità degli indicatori Istat, oltre ad di altri strumenti di calcolo ed indicatori nazionali ed internazionali.  

Per l’Unione Europea l’obiettivo è realizzare la «convergenza sociale verso l’alto» dei salari minimi, cioè un aumento dei minimi più bassi che si avvicinino così ai più alti.  

 

Il caso che ha portato alla decisione della Suprema Corte sul salario minimo costituzionale 

Una sentenza del Tribunale di Torino ha riconosciuto al dipendente di una cooperativa differenze retributive, calcolate come da Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) per i Dipendenti da proprietari di fabbricati e non come da CCNL Servizi Fiduciari, cioè quello applicato dal datore di lavoro, poiché lo ha giudicato in contrasto con la Costituzione.  

La Corte d’appello del capoluogo piemontese ha però riformato del tutto questa sentenza sostenendo che il CCNL applicato al lavoratore fosse sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi e non si tratti di cd contrattazione pirata, di conseguenza il Giudice non può sindacare i livelli retributivi stabiliti dalla contrattazione applicabile.  

La Corte di Cassazione ha invece dato ragione al dipendente che presentato ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello e sostenuto che quest’ultima non abbia applicato i principi affermati dalla stessa Cassazione in materia di salario minimo costituzionale. 

 

Proporzionalità e sufficienza della retribuzione 

L’articolo 36 della Costituzione garantisce il diritto ad una retribuzione: 

  • proporzionata alla quantità e alla qualità dell’attività prestata 
  • sufficiente per assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. 

La Cassazione ha confermato il suo orientamento con la recentissima sentenza n. 28320 del 10 ottobre 2023, ove ribadisce che “i due requisiti di sufficienza e proporzionalità costituiscono limiti all’autonomia negoziale anche collettiva”. 

 

Parametri di riferimento di determinazione del salario minimo costituzionale 

Il Giudice deve attenersi a entrambi i parametri per determinare la retribuzione minima secondo Costituzione.  

Il valore soglia di povertà assoluta, calcolato ogni anno dall’ISTAT, può aiutare a individuare una soglia minima invalicabile, ma non il salario minimo costituzionale. Per stabilire quale sia il salario minimo costituzionale, il Giudice deve ancorarsi alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva che dovrebbe di per sè essere idonea a realizzare la sufficienza e la proporzionalità richieste dalla Costituzione.  

Ma la sua valutazione non può fermarsi qui. È infatti possibile che una retribuzione, seppure conforme a quella stabilita dal contratto collettivo di riferimento, non sia “sufficiente” in base all’articolo 36 della Costituzione, perché l’attività svolta dal lavoratore potrebbe avere caratteristiche diverse da quelle contemplate dalla contrattazione collettiva.  

Ai sensi dell’articolo 2099 del Codice civile, il Giudice ha ampia discrezionalità nel determinare la giusta retribuzione. Può discostarsi per eccesso o per difetto dai minimi retributivi stabiliti dalla contrattazione collettiva e prendere come riferimento anche contratti collettivi di altri settori affini o per mansioni analoghe.  

Il Giudice può anche applicare criteri e parametri differenti da quelli collettivi in concorso o in sostituzione del CCNL quando, per esempio, le dimensioni o la localizzazione dell’impresa, situazioni locali o la qualità della prestazione del lavoratore, la soglia di povertà calcolata dall’Istat, l’importo della Naspi o della CIG, la soglia di reddito per accedere alla pensione di inabilità e l’importo del reddito di cittadinanza.  

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