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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 183 del 22 luglio 2022, ha sollecitato un intervento urgente sul sistema di regole conosciute con il nome di Jobs Act che hanno riformato il diritto del lavoro nel 2014. 

La Consulta ritiene che la previsione del solo indennizzo economico, tra le 3 e le 6 mensilità, in favore del lavoratore licenziato illegittimamente da parte del datore di lavoro non realizzi il necessario «equilibrato componimento tra i contrapposti interessi» dell’una e dell’altra parte del rapporto lavorativo. 

La Corte si spinge ad auspicare un intervento legislativo per compiere una revisione complessiva del Job Act. 

ll caso del licenziamento della lavoratrice e del dimezzamento dell’indennizzo 

Una lavoratrice, licenziata per giustificato motivo oggettivo da una impresa datrice di lavoro che impiegava meno di 16 dipendenti, ha proposto ricorso al Tribunale di Roma per contestare l’indennizzo ricevuto a fronte del licenziamento. 

Il Tribunale si è rivolto a propria volta alla Corte Costituzionale, perché risolvesse le problematiche di legittimità costituzionale della norma che dimezza l’indennizzo e comunque lo limita tra le tre e le sei mensilità dell’ultima retribuzione percepita, in caso di licenziamenti intimati da datori di lavoro di più piccole dimensioni (in termini di dipendenti occupati).  

La previsione del solo ristoro monetario, limitato alle 6 mensilità, e ancorato al solo numero dei dipendenti, non consentirebbe infatti: 

  • da un lato, un adeguata personalizzazione del danno arrecato al lavoratore dall’illegittimo licenziamento nell’escludere la possibilità per il Giudice di quantificare l’indennizzo in base agli aspetti peculiari della vicenda, compresa la gravità della violazione 
  • dall’altro, non avrebbe efficacia deterrente perché non eviterebbe i licenziamenti illegittimi da parte di quei datori di lavoro che, nonostante i pochi dipendenti occupati, dispongono di ingenti risorse economiche e, quindi, sono in grado di pagare il massimo dell’indennità prevista dalla legge, senza particolari sacrifici. 

 

Indennizzo per il lavoratore esiguo e non giustificato dal ridotto numero dei dipendenti  

La Corte Costituzionale ha riconosciuto le criticità sottolineate dal Giudice di Roma e ha rilevato che:  

  1. un’indennità misurata tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità, non consente di adeguare il ristoro né in termini di congruità né di efficace deterrenza dai licenziamenti ingiusti; 
  1. il numero dei dipendenti non rispecchia di per sé l’effettiva forza economica del datore di lavoro, né la gravità del licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili per una liquidazione del danno.  

L’attività economica è ormai caratterizzata infatti dalla continua evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi quindi, una impresa con pochi dipendenti può ugualmente impiegare cospicui investimenti in capitali e avere un consistente volume di affari.  

Il numero degli occupati in sé non soddisfa quindi l’esigenza di evitare al datore di lavoro di sostenere costi sproporzionati rispetto alla sua effettiva consistenza finanziaria, proprio perché questa può essere determinata da fattori economici diversi dalla forza lavoro. 

Il legislatore dunque, secondo la Corte Costituzionale, deve al più presto eliminare le disfunzioni dell’attuale normativa e individuare nuovi criteri che vadano oltre il dato numerico dei dipendenti e valorizzino le differenze tra le varie realtà produttive.  

La scelta dei criteri spetta in ogni caso al legislatore, perché presuppone valutazioni di ordine politico, considerate anche le sue ricadute sull’economia.  

Il legislatore però dovrebbe rivedere la normativa in termini complessivi e con estrema sollecitudine. «Un ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile», chiosa infatti la Corte. 

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