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Il “capolarato” è purtroppo molto diffuso, specialmente in settori che utilizzano mano d’opera a basso costo. Negli anni, l’incidenza sociale di questo fenomeno ha condotto il legislatore a porvi rimedio, attraverso diversi interventi legislativi che hanno sanzionato, in modo sempre più specifico e ampio, le condotte illecite legate allo sfruttamento del lavoro.

Oltre all’art. 600 Cod. pen. che prevede il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù e che fa riferimento anche ad ipotesi di sfruttamento del lavoro, nel 2011 è stato introdotto l’articolo 603bis Cod. pen. che puniva la condotta del solo intermediario e soltanto a determinate stringenti condizioni.

L’articolo è stato riformulato nel 2016 con la Legge n. 199/2016 e ora il Codice penale punisce:

  • l’intermediario che ”recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso” altri soggetti, e
  • il datore di lavoro che “utilizza, assume o impiega manodopera”, anche con l’intermediazione di altre persone.

Per punire entrambe le condotte, la norma richiede, oltre allo sfruttamento del lavoratore, anche l’approfittamento del suo stato di bisogno.

L’interpretazione di queste norme è arrivata nel 2022 dalla Suprema Corte.

Con la sentenza 24 giugno 2022, n. 24388, la Corte di Cassazione ha confermato il sequestro di somme a danno di un datore di lavoro indiziato di sfruttamento.

La sentenza è importante perché la Corte si è pronunciata (1) sia sull’applicabilità al datore di lavoro dell’articolo 603bis Cod. pen. nel caso in cui l’assunzione del personale sia avvenuta prima che entrasse in vigore la riforma del 2016 (ossia, prima del 4 novembre 2016) (2) sia sullo sfruttamento e sull’approfittamento dello stato di bisogno.

Sfruttamento e caporalato due reati distinti

Per quanto riguarda il primo punto, la Cassazione ha chiarito che:

  • il legislatore non ha esteso al datore di lavoro la responsabilità penale dell’intermediario ma ha previsto una nuova ipotesi di reato; e che
  • dal 4 novembre 2016, il datore di lavoro che assuma, impieghi o utilizzi manodopera, con sfruttamento e approfittamento, deve rispondere del reato di sfruttamento di manodopera.

Lo sfruttamento e l’approfittamento dello stato di bisogno

Per quanto concerne il secondo punto trattato in sentenza, la Cassazione ha altrettanto chiaramente affermato che, nel caso in esame, il Tribunale non ha errato nel confermare il sequestro di somme del datore di lavoro, in quanto:

  • ha dettagliato le condizioni di sfruttamento dei lavoratori; si è accertato, tra l’altro, che tutti i lavoratori erano stati informati che le ore di lavoro sarebbero state superiori a quelle previste dal Contratto collettivo e nonostante il passaggio da full time a part-time, hanno continuato a lavorare a tempo pieno ed a ricevere la retribuzione del part-time; inoltre, mancavano le ferie e i turni di lavoro erano “intensissimi”;
  • ha accertato l’approfittamento dello stato di bisogno, dato che le dipendenti si sono “viste costrette ad accettare le condizioni imposte per la necessità di mantenere un’occupazione, non esistendo, nel contesto in cui è maturata la vicenda, possibili reali alternative di lavoro”;

La Cassazione ha, infatti, ribadito il principio che “lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose”.

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