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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22484 del 18 luglio 2022, ha stabilito che il rispetto dell’obbligo di cooperazione, cui è tenuto il lavoratore in malattia, non gli impedisce di compiere quelle attività della vita quotidiana che si svolgono normalmente in casa. 

Era sotto la doccia nella propria abitazione, per i Giudici di Milano non è assenza alla visita domiciliare 

Un dipendente a casa per malattia, si trovava sotto la doccia al momento in cui il medico fiscale si è presentato al suo domicilio per un controllo. 

Non avendo sentito suonare il campanello non aveva aperto e così consentito al medico fiscale di entrare per eseguire la visita di controllo.  

Il datore di lavoro ha emesso un richiamo scritto al dipendente, a seguito di questa mancata visita, richiamo che il dipendente ha impugnato avanti il Tribunale che ha escluso che la sua condotta avesse rilevanza disciplinare e che fossero stati violati gli obblighi di esecuzione del contratto di lavoro secondo buona fede. 

La stessa linea ha adottato la Corte d’Appello, mail datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che: 

  • la mancata reperibilità è un inadempimento contrattuale sanzionabile indipendentemente da uno stato di malattia, perché il lavoratore è tenuto a rispettare sempre il dovere di cooperazione e, pertanto, anche nella propria abitazione, non può tenere condotte che impediscano l’accesso del medico fiscale;  
  •  il contratto collettivo considera quale illecito disciplinare l’assenza alla visita domiciliare e «fare la doccia durante la fascia di reperibilità (fatto peraltro non indifferibile)» costituisce inadempimento al contratto di lavoro.  

 

La Cassazione conferma che la condotta del dipendente non può essere sanzionata 

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, in base ad alcune considerazioni di principio che distinguono tra gli obblighi che il lavoratore contrae con il datore di lavoro e quelli che ha con l’INPS ai fini assicurativi: 

  1. le visite mediche di controllo (previste dall’art. 5 della legge n. 638 del 1983), riguardano il rapporto assicurativo con l’lNPS, non il rapporto di lavoro; 
  1. alla sanzione amministrativa della decadenza dal trattamento economico che l’INPS può erogare, può aggiungersi quella disciplinare da parte del datore di lavoro quando la condotta del dipendente violi anche gli obblighi assunti con il contratto di lavoro;  
  1. quindi, «non tutte le condotte che rilevano nei rapporti con l’istituto previdenziale e che possono determinare decadenza dal beneficio comportano anche una responsabilità disciplinare»; 
  1. il contratto collettivo attribuisce rilievo disciplinare solo all’assenza alla visita domiciliare, non ad altre condotte tenute dal lavoratore nella propria abitazione che impediscano l’accesso del medico fiscale; 
  1. quest’ultime, infatti, possono avere rilevanza nel rapporto con l’Istituto previdenziale come mancato rispetto della reperibilità, ma non rilevano come illeciti disciplinari, perché andrebbe verificato in concreto se violino o meno anche gli obblighi contrattuali verso il datore di lavoro. 

La Corte ha, quindi, riconosciuto che, nel caso specifico, il Giudice si fosse attenuto correttamente a questi principi. 

La presenza del lavoratore nella sua abitazione è stata accertata e quindi si è escluso che la sua condotta fosse contraria agli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede, tenuto conto anche di tutte le circostanze del caso concreto e del fatto che il lavoratore si fosse subito dato da fare per rimediare all’accaduto.  

In conclusione, la Corte ha affermato che: «l’obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all’interno delle pareti domestiche». 

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